domenica 10 maggio 2015

Il gruppo “il sessismo nei linguaggi” si trasforma

Il gruppo “Il sessismo nei linguaggi” è nato nel 2008 presso la Casa della Donna di Pisa. Lo scopo del gruppo era ed è quello di studiare, denunciare, trasformare dove possibile l’uso sessista delle immagini e della lingua italiana.

         Il gruppo costituito solo da donne ha al proprio attivo:
--Un blog con lo stesso nome del gruppo in cui negli anni sono state raccolte molte immagini, documenti, proposte…. Il blog è molto visitato per tesi, curiosità, aggiornamenti….Vale la pena arricchirlo e tenerlo aggiornato.
--Una mostra fotografica formata da sei cartelloni plastificati dedicati a vari argomenti (i media, la pubblicità, i buoni esempi…) mostra a disposizione gratuitamente di chi ne fa richiesta. Usabile anche un pannello per volta.
--Un convegno tenuto alla Casa della Donna con la linguista Giuliana Giusti.(vedi blog)
--Interventi sul territorio.
--Contatti con donne e gruppi che portano avanti la stessa problematica.

Per anni il tema del sessismo nei linguaggi è stato pochissimo trattato ma ora è esploso e sarà bene continuare a dare il nostro contributo.

    Ora però il gruppo ha assolutamente bisogno di rinforzi.

-Per far parte del gruppo non è necessario vivere a Pisa né partecipare a molte riunioni. Ora si può lavorare anche dalle nostre case.
-Per ora la proposta che vi facciamo è: Aprire il nostro blog, leggere il primo e unico documento programmatico, guardarne le diverse Etichette e Voci in modo da capirne lo spirito.
-Chi è interessata e possiede un computer e possibilmente uno scanner può fare foto, scannerizzare moduli, pubblicità, registrare interventi e spedire il tutto alla nostra posta. Noi metteremo il tutto nel blog. Ma potete anche proporre interventi, partecipare a convegni e iniziative di cui magari faremo girare le informazioni.
-Abbiamo delle donne interessate a collaborare a distanza sia a Pisa che a Roma e in altre città.
Se ci mandate i vostri indirizzi mail vi contattiamo e magari una volta prima della pausa estiva 2015 proviamo ad incontrarci



Pisa maggio 2015

Segnalazione Anagrafe e Toponomastica - Comune di Pisa

Abbiamo scritto al comune di Pisa per segnalare un'incongruenza tra il loro Statuto e le cariche di donne denominate al maschile. Ecco la prova:


Ecco la nostra mail e la loro risposta:




Speriamo in un loro effettivo intervento al più presto.
Segnalate anche voi !

lunedì 4 maggio 2015

Interazioni in sala parto. Le parole della medicalizzazione

Quali sono le parole usate da medici e infermieri quando una donna è sdraiata sul lettino di un reparto di maternità? Ecco come il linguaggio medico-ospedaliero contribuisce alla costruzione sociale del corpo femminiledi Lia Lombardi

Come numerosi studi dimostrano, il linguaggio è molto più che uno scambio di informazioni. Esso compie un ‘lavoro’: due persone che parlano, inviano e ricevono messaggi e nello stesso tempo compiono un'azione sociale. Il risultato più importante di questi studi è che nel linguaggio permangono modelli ricorrenti di comportamento. L'analisi delle conversazioni della vita quotidiana ne evidenzia la somiglianza strutturale.
I contributi che hanno animato la sessione numero sei del convegnoGenere e Linguaggio[1] hanno fatto riferimento a questa nozione, soffermandosi, in particolare, sul potere performativo del linguaggio riferito ai generi[2], sui processi di stigmatizzazione e di costruzione delle identità di genere, sulla costruzione del linguaggio di genere nei media[3] e nell’informazione on-line[4]. Un ulteriore contributo sottolinea gli aspetti linguistici che designano e categorizzano le identità di genere, all’interno dei processi di medicalizzazione.
Le riflessioni che seguono sintetizzano alcuni dei punti emersi nel dibattito, soffermandosi sul potere perfomativo del linguaggio medico rispetto alla rappresentazione e alla costruzione sociale e culturale dei generi, con riferimento a contesti medico-istituzionali con forte connotazione di genere, come le sale parto.
Linguaggio, potere e differenze di genere
Gli studi su genere e linguaggio sono ormai numerosi e diversi tra loro: si estendono dall'analisi dei turni di parola nelle interazioni uomo-donna, a ricerche di tipo etnometodologico in cui si analizza la costruzione sociale del genere femminile. Questo mostra come le differenze di linguaggio siano connesse alla realtà strutturale definita dal dominio maschile e costruita nelle strutture economiche, familiari, politiche e legislative della società. 
All'interno di questi studi un filone di ricerca si è sviluppato nei contesti medico-clinici da parte di studiose femministe che hanno interpretato nella interazione uomo-medico/donna-paziente la rappresentazione del potere e dell'ordine sociale.
Dietro i giudizi sullo stato di salute dei pazienti e le prescrizioni che i medici danno loro, c'è un sistema di credenze, di valori, di conoscenze più ampio in cui i medici collocano le informazioni sanitarie. Se la paziente è donna questi aspetti sociali giocano nell'interazione almeno a due livelli: da una parte i giudizi del medico sono spesso determinati dalle definizioni dei ruoli 'appropriati' per le donne nella società; dall'altra parte le donne, abituate nella vita quotidiana a comportarsi in modo dipendente e subordinato, si trovano spesso a 'colludere' con l'autorità medica, assumendo una posizione di 'doppia subordinazione' (come donna e come paziente). Questo campo della pratica medica è rivelativo dei meccanismi di potere, impliciti nell'interazione medico-paziente, in cui s'incontrano due direttrici: una determinata dalla potenza simbolica e sociale del controllo della salute e del corpo femminile, l'altra influenzata dalla cultura delle pratiche mediche come insieme oggettivo, asettico e autofondante.
Pertanto, il contesto ostetrico-ginecologico è quello del potere-sapere entro cui donna e medico si confrontano e che non riguarda solo la loro interazione faccia a faccia, bensì lo sfondo storico e sociale che tale incontro possiede: si tratta di un potere-sapere che permette al medico di definire la situazione in cui avviene l'interazione della visita ostetrico-ginecologica. 
Interazioni in sala parto
Il contesto di un 'ospedale di maternità' è certamente diverso da altri, ma stabilisce a priori la cornice dentro cui si svolge la relazione medico-paziente, sottolineando il comportamento di chi ha il potere di definirla[5]. La donna che partorisce in ospedale sta all'interno di una comunicazione di tipo disconfermante, e questo significa che: 
  • lo scambio comunicativo (verbale e non verbale) avviene prevalentemente tra il personale, come se la partoriente non ci fosse: parlano di lei, in sua presenza, usando la terza persona e il verbo volto al passivo per indicare operazioni medico-cliniche che devono eseguire sul suo corpo. Abitualmente non si assumono le informazioni sull'andamento del parto dalla stessa donna ma dalla cartella clinica o da altri operatori;
  • alle donne vengono date informazioni, consigli e rassicurazioni sbrigative e falsamente tranquillizzanti che non le rendono partecipi di quanto accade. Questo tipo di comunicazione produce una infantilizzazione della donna, verso cui si adotta lo stesso meccanismo che, erroneamente, si adopera con i bambini, dei quali spesso si parla  senza rivolgersi direttamente a loro e coniugando il verbo alla terza persona. Gli effetti di questo processo di infantilizzazione portano alla spersonalizzazione e oggettivazione della donna partoriente, il cui corpo può così essere considerato e manipolato come un 'oggetto di lavoro'.
L'ospedale è 'territorio' del personale sanitario e non della donna che partorisce, infatti lo scambio di parole, di sguardi e di gesti avviene in grande prevalenza tra gli operatori. Molto spesso le ostetriche, i medici o le infermiere discutono tra loro di turni e orari, di difficoltà organizzative e di relazioni tra colleghi. Questo tipo di conversazione è molto ricorrente, avviene ovunque nel reparto ma assume un significato specifico in 'sala parto' mentre la donna spinge, nella fase espulsiva del parto, o in 'sala travaglio' mentre si lamenta per il dolore.
Ecco un esempio di dialogo che avviene in un reparto di maternità intorno ad una partoriente per cui ancora gli operatori non sanno se procedere con un taglio cesareo:
Medico1. Anestesista, entrando rivolto all'ostetrica: "È questa da fare?"
Ostetrica. "Così hanno detto".
Medico2. "Ma perché è da fare?"
Medico3. "Ma forse vien giù da solo (il bambino), è quasi completa..."
Gli operatori, quindi, tra loro gli interventi da eseguire sul corpo della donna, senza mai coinvolgerla, come se il discorso riguardasse qualsiasi altro tipo di intervento su un corpo inanimato. Si arriva fino all'utilizzo di espressioni volgari o offensive.
Pertanto, l'utilizzo di un verbo di significato clinico e volto al passivo assume un doppio significato:
  • passivizzare la donna che non è il soggetto cui deve essere applicato un catetere o eseguito un taglio cesareo, ma l'oggetto che deve essere cateterizzato o cesarizzato[6]
  • prendere le distanze dal suo corpo, rendendolo un oggetto 'inanimato' di lavoro (come potrebbero esserlo un'automobile, un tavolo, una poltrona …). Così, anche le 'chiacchiere' degli operatori e delle operatrici in presenza della donna, senza coinvolgerla, fanno parte dei medesimi strumenti di difesa dal corpo partoriente.
Questi sono solo alcuni passaggi attraverso cui avviene la costruzione sociale del corpo femminile, gravido e partoriente, all'interno di una cornice istituzionale e medico-ospedaliera. Il linguaggio compie quindi un'azione sociale riproducendo le dinamiche di potere che nello specifico contesto riflettono tanto le relazioni asimmetriche legate al genere, quanto quelle legate al sapere, della medicina e del medico.
Il processo di medicalizzazione, tema centrale dell’analisi sociologica della salute e della medicina, radicalizza tali dinamiche, in cui Peter Conrad individua il potere e l’autorità della professione medica quale elemento propulsore dello stesso processo, sia come 'dominanza professionale' sia come colonizzazione medica, e questa spinta, sottolinea l'autore, è sicuramente vera se riferibile alla medicalizzazione dell’iperattività dei bambini, dell’abuso sui minori, del parto e della menopausa, quindi a fenomeni socio-comportamentali e a eventi fisiologici.
D'altra parte, la medicalizzazione della nascita e della riproduzione umana, segna la dicotomia natura/cultura e interpreta il corpo femminile come "La natura su cui la cultura (maschile) doveva esercitare il suo dominio. In questo senso, in quanto più naturale dei corpi maschili (…)" rappresenta - proprio per la sua capacità riproduttiva - ancora una minaccia e un pericolo e "non è per caso che il corpo femminile sia più medicalizzato di quello maschile, le pratiche di prevenzione più puntuali ed estese, l’autovigilanza che esso richiede più intensa"[7].
Articolo realizzato da: http://www.ingenere.it/articoli/interazioni-sala-parto-parole-medicalizzazione

domenica 3 maggio 2015

Esempi da imitare!






 Museo Whitney (NY) progettato da Renzo Piano inaugurato nel 2015